Monte Echia: dalla Palepolis alla Neapolis

Si dice che i luoghi dove siamo cresciuti siano quelli a cui rimaniamo più legati, anche nel caso in cui non rivelino alcuna speciale peculiarità.

Per quanto mi riguarda, mi ritengo molto fortunato.

Quando penso a tutto quello che, storicamente, ruota attorno al Monte Echia mi coglie immediatamente un entusiasmo spontaneo, genuino, portentoso: stiamo parlando dell’esatto punto in cui i Cumani fondarono, nell’VIII secolo a.C., la loro Partenope!

Ma andiamo per gradi e scopriamo insieme tutti i segreti di questo fazzoletto di terra così importante della nostra città.

 

Storia e curiosità di un luogo senza tempo

Geograficamente, il Monte Echia è quello spuntone roccioso in tufo giallo che sorge nella zona di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando: il suo profilo è immerso nella panoramica del Golfo di Napoli, per la precisione tra il borgo di Santa Lucia e la conca di Chiaia sovrastando, dall’alto, l’isolotto di Megaride.

L’etimologia della parola che identifica questo promontorio è, ancora oggi, molto dubbia: addirittura c’è qualcuno che la collega ad Hercli (Ercole), ma non c’è davvero nulla di certo. Quello che si sa, però, è che l’antico nome del monte, Platamon, che sta per “rupe scavata da grotte”, è sopravvissuto nel toponimo di Via Chiatamone, che si estende proprio alla sua base.

All’interno del monte si aprono tantissime cavità che gli esperti sono sicuri siano state abitate sin dalla preistoria: in epoche successive si trasformarono in sedi di riti mitriaci (che vennero, come sappiamo, proibiti dal cristianesimo), di cenobiti (monaci cristiani dediti alla vita comunitaria) nel Medioevo e di scandalose orge nel XVI secolo che spinsero il viceré don Pedro de Toledo alla loro ostruzione.

Da dire anche che, ai tempi della fondazione di Parthènope, la città era collegata con la spiaggia ed il porto da una sola arteria stradale mentre, ai tempi di Lucullo, l’intero circondario venne inglobato nella maestosa villa del console romano, il castrum lucullanum, ritrovandosi ad ospitarne i giardini, tempestati di piante esotiche e rare specie avicole. Alcuni resti di quella gigantesca residenza sono ancora visibili ai giorni nostri ed è proprio accanto a questi reperti archeologici che si può godere di una vista panoramica mozzafiato sul golfo che lascia davvero senza parole: il belvedere è a 360 gradi e, con lo sguardo, ci permette di ammirare tantissimi luoghi meravigliosi della nostra Campania, da Capodimonte al Vesuvio e alla Penisola Sorrentina.

Alle spalle, il Palazzo Carafa di Santa Severina, la Chiesa dell’Immacolatella ed altre testimonianze antichissime dei primi insediamenti di inizio Cinquecento, mentre dall’altro lato il Gran Quartiere di Pizzofalcone, oggi caserma della Polizia di Stato Ninio Bixio, costruito in epoca spagnola durante la militarizzazione della collina.

Ma c’è ancora molto di più: era proprio da questo monte, infatti, che una sorgente sgorgava una particolarissima acqua bicarbonato-alcalino-ferruginosa di origine vulcanica, quella che i napoletani chiamavano acqua zuffregna o acqua ferrata e che raccoglievano nelle mummarelle, le anfore da cui prese anche il nome, poi, di acqua di mummare.

A questo punto vi starete chiedendo che fine abbia fatto questa sorgente, vero?

Venne chiusa agli inizi degli anni ’70: il timore era che si trattasse di acqua contaminata (nel ’73 scoppiò l’epidemia di colera); ma non fu uno stop definitivo. Il sito venne riaperto 27 anni dopo, cambiato in quattro fontanelle poste in Via Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga (nei pressi di Palazzo Reale), dopo aver effettuato numerosi controlli. Tuttavia, solo 3 anni più tardi (siamo nel 2003), l’acqua smise di zampillare da quei rubinetti e, oggi, le fontanelle versano in cattive condizioni, dimenticate e abbandonate al degrado.

C’era, però, un’altra fontana che acquisiva acqua della stessa fonte: era stata donata nel 1731 al popolo del borgo di Santa Lucia e si trovava in Via Chiatamone; purtroppo è ancora murata.

Insomma, una stratificazione incredibile, quella inclusa nel Monte Echia, che, dall’antica Partenope, poi diventata Palepolis (città vecchia), ha portato alla Neapolis, cioè alla città nuova: un intreccio storico denso e ricchissimo di cui il sito è stato testimone sin dagli albori di quella che, oggi, per noi è una attualissima metropoli moderna.

 

Ascensore: sì o no?

Un altro acceso dibattito che riguarda il Monte Echia è quello relativo alla realizzazione dell’ormai famoso ascensore di Santa Lucia che, una volta completato, andrebbe a sostituire le rampe di Pizzofalcone nella risalita verso l’alto che non solo consente un rapido collegamento con il Borgo Santa Lucia, appunto, e l’adiacente Borgo Marinari, ma regala anche una vista meravigliosa sulla città e su Villa Ebe, la splendida dimora costruita e vissuta dall’architetto napoletano Lamont Young di cui vi ho parlato qualche tempo fa.

A Napoli, si sa, tutto si collega!

E, a proposito di questo, un’ultima curiosità.

 

L’origine del termine “cafone”

In napoletano, lo sappiamo, quando si appella qualcuno come “cafone” o, peggio ancora, “zamparo“, non è mai una bella cosa: ci si riferisce a persone che si considerano rozze, primitive, maleducate, prive di qualunque educazione sociale e civile. Benché, anche in questo caso, l’etimologia sia piuttosto incerta, si pensa che ci sia innanzitutto un legame con la parola kafar che, in lingua osca (popolazione che ha abitato i nostri territori in momenti storici molto remoti), significa “zappare”, e che altre derivazioni potrebbero venire dal latino o, più probabilmente, dal greco. Ma la vera chicca è che tutto si riconduce agli abitanti delle campagne che, durante gli affollati mercati cittadini, arrivavano legati tra loro per non perdersi: c’a fune, appunto; senza contare che anche i contadini della Terra di Lavoro venivano chiamati “chilli c’o ‘a fune” (quelli con la fune) poiché spesso si spostavano con una fune intorno alla vita o in spalla, strumento con cui solevano portare a casa gli animali vivi, comprati al mercato.

E questo che c’entra con il Monte Echia, vi chiederete voi?

Beh, questo promontorio era proprio uno dei punti da cui si dice che scendessero “quelli con la fune” per andare in città!